La fotografia, strumento di comunicazione
Dalla pagina https://www.incontridifotografia.it/gallery/
Con la classe del PCTO ‘fotografia e antropologia’, ho cercato di mostrare e sperimentare il lavoro autoriale di fotografo, lavoro che porta, inevitabilmente a conoscere ed elaborare la storia e l’attualità. Ho dato ai ragazzi alcune parole chiave intorno alle quali sarebbe ruotato tutto il percorso: ‘antropologia’, ‘antropocene’, ‘immaginazione’, ‘immaginario’, ‘docu-fiction‘, ‘fiction is action’.
Abbiamo guardato numerosi esempi del lavoro di fotografo: il documentarista, il creatore di fiction, il fotografo di moda, il creatore di docu-fiction, abbiamo visto la tecnica del collage e la found photography. Senza tralasciare gli aspetti filosofici e semiotici concernenti lo storytelling e l’analisi dell’immagine, con particolare riferimento al giornalismo e ai meccanismi dei media odierni, ho cercato di portare i ragazzi su un piano narrativo che partendo dalla realtà si sollevasse da essa. Tuttavia, per poter fare questo li ho fatti partire da quando di più prossimo hanno a disposizione: loro stessi. I primi laboratori condotti, infatti, hanno spiegato come la fotografia, anche per gli autori, è un modo per conoscere se stessi: senza consapevolezza, è difficile essere dei grandi narratori. Quindi i ragazzi hanno creato una sorta di diario fotografico dove particolare attenzione in questa fase è stata data al concetto di biografia / autobiografia, ritratto / autoritratto e selfie.
Dopo queste premesse siamo andati ancora più in profondità, ripercorrendo per sommi capi, attraverso alcuni generi fortunati, la storia della fotografia, leggendo questa come una grande narrazione dell’Uomo sull’Uomo. Perché, che cos’è la fotografia se non, anzitutto, un grande strumento antropologico? Non solo perché ha sostituito i disegnatori durante le spedizioni scientifiche e coloniali, non solo perché è il media che più ha influenzato la società moderna all’apice dell’antropocene, ma perché qualsiasi cosa che la fotografia dà a vedere è sempre un discorso sul genere umano: a volte aiuta a scoprire situazioni sociali difficili, altre volte, grazie alle avanguardie del XX secolo guarda dentro l’animo umano, altre volte, la fotografia immagina. Immagina possibilità, si mischia, anche, con altre forme artistiche e partendo dalla realtà propone nuovi scenari, nuovi spunti di riflessione.
Ecco, in un tempo incerto come questo, i ragazzi sono stati invitati a lavorare molto con le fotografie trovate in rete, anche se, laddove le normative lo hanno permesso, sono stati invitati a uscire e fotografare il loro territorio. Tuttavia, la crisi negli spostamenti ha fatto si che ponessimo attenzione anche alla photo trouvè, cercando di fare di necessità virtù e dunque a lavorare con le narrazioni dei giornali, e, come i surrealisti, di mischiarle tra loro, trovando il buono attraverso narrazioni terze, che gli sono servite a rafforzare ciò che per loro è importante.
Ho altresì invitato i ragazzi a scrivere le loro testimonianze in merito alla realizzazione dei vari laboratori e l’ultimo assegnato che gli ho dato è partito da una domanda: come immaginate il vostro mondo futuro? Come immaginate il futuro, adesso, in un momento paradigmatico come questo? Non si sono fatti prendere la mano dalle narrazioni predominanti, hanno lavorato su ciò che hanno ritenuto importante, tra le notizie del 2020. Il virus scompare, nei progetti finali. C’è tanta tolleranza, uguaglianza, c’è l’accettazione, quasi zen, dei contrasti della vita, la voglia di abbracciarli tutti; c’è la consapevolezza che la magia non è qualcosa che esce da una bacchetta magica ma è qualcosa che ha a che fare molto con l’empatia e il sentire; c’è la riflessione sul tempo, tempo che diventa una scusa per non essere presenti a noi stessi: ‘La prima cosa che vorrei sono i tramonti per un tempo più lungo. Tutti siamo immersi dai nostri pensieri, dal lavoro e spesso restiamo dentro casa perché abbiamo troppo da fare, tanto che sono poche le volte in cui ci soffermiamo a guardare il tramonto oppure non abbiamo il tempo giusto per riuscire a vederlo. Allora in questo mondo i tramonti deve essere più lungo, in modo che le persone possano osservarlo per più tempo e capire che la natura è un dono per tutte le cose che ci dà.’
Questi ragazzi, attraverso i loro diorami in due dimensioni, hanno dimostrato di saper usare le immagini, non solo fotografiche, piegandole, alla loro volontà, come i migliori narratori, verso l’immaginazione sul loro mondo. Mondo immaginato, si, ma anche molto concreto, la riprova, questa, che immaginare non è una questione da poco.
Valeria Pierini